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I calanchi sono un fenomeno geomorfologico di erosione del terreno che si produce per l'effetto di dilavamento delle acque su rocce argillose degradate, con scarsa copertura vegetale e quindi poco protette dal ruscellamento.
Aspetti geomorfologici
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I solchi che si formano all'interno del terreno si accentuano rapidamente, allungandosi e procedendo a ritroso, moltiplicandosi e ramificandosi. Tale processo si estende ad interi versanti, suddivisi da numerose vallecole separate a loro volta da strette creste con micro versanti nudi in rapida evoluzione. Le cause di innesco del processo che porta alla formazione dei calanchi sono molteplici e spesso concomitanti: in primis la presenza di un substrato argilloso con discreta componente sabbiosa; regime climatico caratterizzato da una lunga estate secca e piogge intense concentrate in determinati periodi dell'anno; esposizione meridionale dei versanti; acclività del pendio compresa tra i 40-60° che favorisce il rapido deflusso dell'acqua; esistenza di un livello meno erodibile alla sommità del versante (Ricci; De Sanctis, 2004). Non è possibile risalire con esattezza al periodo di formazione dei calanchi in Italia, ma si ritiene che durante l'Olocene, il disboscamento delle foreste di querce sempreverdi, avvenuto per opera umana, abbia esposto i suoli argillosi, altamente erodibili, ai rigori del clima. Fenomeni di dissesto idrogeologico, come il dilavamento e il ruscellamento delle acque meteoriche, insieme a frane e creep, divennero i fattori determinanti nel modellamento del terreno, la cui risultante fu la genesi dei calanchi (Phillips, 1998).
In Italia, sono presenti soprattutto ove affiorano le argille azzurre plio-pleistoceniche, che hanno dato forma, lungo l'intera catena appenninica a due distinte formazioni: i calanchi e le biancane (Phillips, 1998). Queste ultime sono dei rilievi a forma di cupola, con solchi longitudinali, e spesso ricoperti da vegetazione sulla sommità. I calanchi si presentano invece, come profondi solchi “a lama di coltello” disposti spesso parallelamente, caratterizzati da versanti privi di vegetazione e molto scoscesi. Le biancane tendono a formarsi in sedimenti piuttosto coesi con un'alta percentuale di solfato di sodio, che, con le precipitazioni atmosferiche, si scioglie e migra negli strati più profondi del terreno; la successiva insolazione fa risalire in superficie le soluzioni saline che poi tendono a precipitare nuovamente con l'evaporazione. Questo procedimento, ripetuto più volte durante la stagione arida, crea le caratteristiche fessurazioni sui versanti. I calanchi, invece, tendono a formarsi su suoli più granulosi (limi argillosi), con una percentuale di sabbia (6-18%) nella loro composizione. In entrambi i casi i suoli sono spesso alcalini, quindi particolarmente soggetti a fenomeni erosivi (Farifteh; Soeters, 2006): l'alto contenuto in sodio conferisce alla massa un comportamento dispersivo e viene facilmente aggredita dall'acqua piovana povera di sali. La velocità di degradazione del pendio argilloso è funzione della temperatura che agisce sull'aria e sull'acqua presenti nella massa: durante le piogge questa è suscettibile di erosione tanto più intensa quanto più è secca precedentemente (Del Prete; Bentivenga; Coppola; Rendell, 1994). |
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Il Riserva naturale guidata
Calanchi di Atri
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Nelle regioni aride, dai suoli sottili e con poca vegetazione, la principale manifestazione di dissesto idrogeologico è l'erosione causata dal ruscellamento delle acque meteoriche, al contrario il fenomeno denominato creep (lento scorrimento di materiale viscoso, permanente) assume importanza probabilmente solo dopo che piogge ripetute saturano il terreno (Schumm, 1956). Come rimarca Neboit-Guilhot (1990), l'erosione del suolo, in ambito mediterraneo, è data dalla concomitanza di precipitazioni molto abbondanti e non costanti, e di forti pendenze. La risposta della superficie dei calanchi a questo tipo di fenomeni meteorologici è piuttosto complessa e si caratterizza per la presenza di micro-variazioni nella struttura dei singoli versanti e vallecole, rilevabili però ad una scala di dettaglio maggiore (Solé-Benet; Calvo; Cerdà; Làzaro; Pini; Barbero, 1997).
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Vista dei Calanchi di Montalbano Jonico, Basilicata
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L'inaridimento del terreno e la formazione di croste dure separate da fessurazioni e spaccature più o meno profonde sono le dirette conseguenze delle piogge che rompono e sciolgono le particelle del suolo, le quali successivamente, a causa della veloce evapotraspirazione, si riaggregano e cementificano in strati spessi e duri, sulla superficie. Questo fenomeno è particolarmente visibile nelle argille plio-pleistoceniche dell'Italia centro-meridionale, fatta eccezione che nelle aree ricoperte dallo strato di vegetazione semi-naturale, arborea o arbustiva (Robinson; Phillips, 2000). L'erosione e il ruscellamento sono spesso fenomeni correlati, ma suoli diversi e strati di vegetazione ricoprenti, possono presentare un'alta incidenza di frane o colate detritiche e una bassa erodibilità, dovuta, ad esempio, alla presenza di uno strato di licheni che ricopre e protegge il suolo. In generale, il pericolo di erosione diminuisce con l'aumentare della copertura vegetale (Lesschen; Cammeraat, 2007).
In ambiente arido mediterraneo la relazione tra suolo e vegetazione gioca un ruolo decisivo nella prevenzione dall'erosione: la vegetazione protegge il suolo perché la parte aerea e la lettiera intercettano le gocce, riducendo l'energia cinetica. La lettiera inoltre va ad arricchire in minerali e materia organica gli strati del terreno, permettendo lo sviluppo e la stabilizzazione di flora e fauna, contribuendo a far decrescere le possibilità di erosione del suolo da parte degli agenti atmosferici. Nello stesso ambito, però, la comprensione dei meccanismi che regolano il sistema clima-suolo-vegetazione è considerevolmente complicata dalla natura fluttuante del ciclo idrologico, specie negli ecosistemi aridi delle formazioni calanchive. L'estrema variabilità ed aleatorietà della disponibilità idrica ha spinto le piante ad adottare accorgimenti che permettano loro di sopperire a tali problematiche, e la disponibilità d'acqua diventa il fattore di controllo dominante sulla crescita e mantenimento della vegetazione. Nell'ambito dei calanchi, gli esemplari di Lygeum spartum, ad esempio, sono considerati specie “utilizzatrici estensive” di risorsa idrica: infatti nella prima parte della stagione di crescita il principale fattore di controllo è rappresentato dall'andamento della precipitazione; nella seconda parte della stagione di crescita il fattore predominante diventa l'elevata domanda atmosferica. La specie fa quindi coincidere il suo ciclo vitale con la stagione piovosa, compiendo le più importanti fasi di crescita dopo le piogge autunnali, sviluppando un apparato radicale profondo per raggiungere gli strati di suolo con più umidità, vista la loro natura argillosa (Lazzara; D'Asaro; Agnese, 2009).
Un paesaggio che scompare
A seguito delle riforme agrarie degli anni '50, in Italia, molte aree marginali agli apparati calanchivi sono state rimodellate e concimate, per essere utilizzate in ambito agricolo. Le dirette conseguenze sono state una forte riduzione della biodiversità ed un altrettanto preoccupante impoverimento dell'eredità culturale locale. Secondo Phillips (1998), i suoli calanchivi riutilizzati dopo lo spianamento per attività agricole sono soggetti ad intensa attività erosiva da parte degli agenti chimico-fisici ed atmosferici, essendo i suoli argillosi oligotrofici e quindi suscettibili di dispersione. Ciononostante, è stato dimostrato come, all'aumentare della percentuale di materiale organico, oltre una soglia del 2%, gli stessi terreni tendono a stabilizzarsi. Il risultato è che questi calanchi sono alterati in modo irreversibile, e tenderanno a scomparire del tutto. L'autore porta come esempio di questa trasformazione le aree calanchive delle Crete Senesi, in Toscana. Sebbene le forze che contribuirono alla loro formazione non siano del tutto inattive, le regolari e abbondanti concimazioni hanno portato il livello di materia organica presente nel terreno ad un valore superiore al 2%, stabilizzandolo e sottraendolo all'azione erosiva.
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Biancane nelle Crete Senesi
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Al contrario, in Basilicata, i calanchi vicino Pisticci, non stanno scomparendo, nonostante alcune aree siano state sottratte nel tempo e destinate alla produzione cerealicola. La differenza è stata nel processo di bonifica più graduale, nei ridotti apporti di concime per opera umana, e nella presenza di un clima particolarmente aggressivo. Tutto ciò ha permesso ai processi erosivi di continuare la loro azione e conservare la morfologia originaria del calanco.
Riserva Naturale di Atri
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Calanchi abruzzesi siti nella Riserva Naturale di Atri
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Un caso a parte è rappresentato dai calanchi abruzzesi siti nella Riserva Naturale di Atri; anche qui, nel corso degli ultimi decenni, si è assistito ad un progressivo livellamento del suolo e ad una sua maggiore stabilizzazione, che ha portato alla scomparsa di alcune aree calanchive. In questo caso però, non è stata l'opera di bonifica per la realizzazione di aree coltivabili a rimodellare il paesaggio, ma un insieme di fenomeni che hanno caratterizzato diverse parti della regione e dell'Appennino in genere: la ricolonizzazione spontanea da parte del bosco, la diminuzione dei coltivi in aree marginali e la realizzazione di più ampi appezzamenti monocolturali. Tutto ciò ha avuto come conseguenza una diminuzione della forza erosiva che porta alla formazione dei calanchi. Nell'area è stato, quindi, il naturale processo di ricolonizzazione a fare da freno all'erosione del terreno (Ricci; De Sanctis, 2004).
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La scomparsa, più o meno graduale, delle aree dei calanchi, è una seria minaccia al patrimonio paesaggistico e culturale in Italia; un lungo processo di trasformazioni sta portando al livellamento ed alla omogeneizzazione del paesaggio. Da qui l'esigenza di cercare nuovi approcci alla gestione del patrimonio naturale, che portino ad uno sviluppo più sostenibile e rispettoso delle peculiarità fisiche, morfologiche ed ecologiche, al fine di preservare la ricchezza e la biodiversità di zone governate da equilibri particolarmente fragili. In un recente studio dell'Università di Siena (Marignani; Rocchini; Torri; Chiarucci; Maccherini, 2007) è stato messo a punto un metodo di ripristino del paesaggio culturale dei calanchi, attraverso l'analisi diacronica di alcune aree che, a causa degli intensi processi agricoli, hanno perso nel tempo l'aspetto originario. Al fine di individuare le zone di riferimento in cui operare, è stata redatta una carta della copertura del suolo, attraverso il confronto di foto aeree scattate nel 1954 e altre datate al 2002. Per ottenere le patches vegetazionali da analizzare è stato utilizzato un metodo di segmentazione dell'immagine in grado di riprodurre dei poligoni, ossia gruppi di pixel spazialmente contigui e simili tra loro. A queste immagini sono state affiancate informazioni derivate dalla consultazione di documenti del catasto storico.
Al fine di proporre un'adeguata azione di ristabilimento sostenibile del paesaggio, sono state individuate le aree con il più alto potenziale di recupero, le stesse che nei primi anni '50 erano sterili e scarsamente ricoperte da vegetazione. In seguito è stato introdotto un disturbo di lieve intensità in grado di innescare moderati e graduali processi erosivi, specialmente nei versanti meridionali, ripristinare gli habitat originari e di conseguenza il paesaggio così come era prima della trasformazione. È consigliato iniziare l'opera di recupero con piccole aree selezionate ad hoc, in cui intervenire con incendi controllati o taglio del bosco, per mantenere quanto più possibile un livello di omogeneità con il paesaggio circostante. Questo metodo cerca di coniugare il più possibile le esigenze di recupero del paesaggio storico con l'ecologia del paesaggio e il rispetto degli habitat.
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